Nell’ultimo articolo ho proposto una breve panoramica sull’argomento moda sostenibile o etica che dir si voglia, ma ho volutamente trascurato una categoria: l’artigianato.
L’artigianato è sostenibile?
Intanto, vediamo di capire cosa si intende con artigiano e artigianato. Il dizionario Treccani ci dice l’artigiano è
Chi esercita un’attività (anche artistica) per la produzione (o anche riparazione) di beni, tramite il lavoro manuale proprio e di un numero limitato di lavoranti, senza lavorazione in serie, svolta generalmente in una bottega.
Quindi, l’artigianato è per sua definizione sostenibile dal punto di vista dei diritti umani, perché l’artigiano lavora per sé, e quindi si presume venda i suoi articoli ad un prezzo che gli consenta una vita dignitosa. Certo poi volendo si può fare un discorso su chi tiene i prezzi bassi e ammazza il mercato, ma esula dal punto di questo articolo.
Che tipo di sostenibilità?
Sempre riallacciandomi al post precedente, abbiamo però visto come oltre all’etica del lavoro c’è anche il discorso ambientale, e qui la faccenda si fa più nebulosa. Siamo sicuri che l’artigiano sia in grado di garantire la provenienza e la tracciabilità dei materiali che usa? Una sarta, per esempio, dove compra i suoi tessuti? Non conosco bene il mondo del tessile, ma penso che le aziende più strutturate, che producono un numero maggiore di capi, abbiano più possibilità di acquistare tessuti certificati ad un prezzo più conveniente (se non è così e avete maggiori informazioni al riguardo fatemelo sapere nei commenti!). Perciò, per quanto acquistare da un artigiano sia senz’altro preferibile rispetto ad andare in una grande catena, se ne facciamo un discorso sostenibilità a 360° la questione cambia un po’.
Ci sono però due categorie di artigianato che secondo me rientrano a pieno titolo nella categoria di attività sostenibili, ossia:
- l’artigianato di riciclo
- l’artigianato di recupero/rielaborazione tradizionale
Il primo non ha bisogno di troppe spiegazioni, direi. Esistono già parecchie aziende che riciclano tessuti o materiali come plastica per trasformarli in qualcosa di nuovo. L’artigiano farà lo stesso, solo in misura più piccola e manuale. Un esempio di questo tipo di riuso è l’italianissima Verdura Shoes: le scarpe sono ottenute pulendo e lavorando reti da pesca bandite dall’Unione Europea.
La seconda tipologia invece è un po’ più difficile da incontrare e spiegare, ma è un qualcosa che mi sta molto a cuore. Uno degli effetti negativi della globalizzazione è stato sicuramente l’accelerare la scomparsa di tradizioni antiche, che vanno via via perdendosi.
Però c’è uno spiraglio in fondo al tunnel: grazie ad un più facile accesso alla conoscenza, sempre più persone si interessano alle proprie radici culturali, magari se ne sono fisicamente lontani. E tra queste radici ci sono anche forme di artigianato, che vengono recuperate e riviste in chiave moderna. Un bellissimo esempio è il brand portoghese À Capucha! che riprende le tradizionali mantelle usate nelle zone montuose del paese con un design più adatto al terzo millennio.
(Ovviamente sulla faccenda globalizzazione/tradizioni si potrebbero scrivere trattati sotto qualunque punto di vista, liguistico, antropologico e chi più ne ha più ne metta; non ho la presunzione di riassumere il tutto in poche righe, ma spero si sia capito il mio punto di vista).
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